Il Santo Patrono
Il Beato Viviano
La ricorrenza
Un
tempo si festeggiava il 22 maggio.
Oggi, la ricorrenza cade nella seconda domenica del mese di giugno,
quando la statua lignea del Beato Viviano viene trasportata, in
processione, dal suo Eremo, sotto le balze orientali del Monte
Roccandagia, fino al prato dell'antico villaggio pastorale di
Campocatino (Vagli Sopra). Nella seconda domenica di settembre, al
termine del periodo estivo della transumanza, la statua viene
ricondotta all'Eremo.
Il Parco delle Apuane festeggia il Beato Viviano - come Santo
patrono - nel giorno più antico della sua ricorrenza: il 22
maggio.
foto: "La processione del Santo,
dall'Eremo verso Campocatino" di F.C. Ravera
L'Eremo
L'Eremo
del Beato Viviano si trova sulle balze orientali del Monte
Roccandagia, nei pressi del sentiero che conduce da Campocatino alla
Valle di Arnetola. Si tratta di di un vero e proprio santuario
d'abri, incastonato nella roccia, a circa 1090 metri sul livello del
mare.
Secondo Ambrosi (1), in questa chiesa grotta si può intravedere
l'opera di cristianizzazione di uno o più culti pagani arcaici, che
affondano le loro radici in credenze magico-animistiche, rimaste
come relitti folclorici in forme simboliche ed archetipe.
Lo stesso autore è pure convinto che il culto del Beato Viviano
possa essere visto anche come il "simbolo della penetrazione
cristiana in Val di Serchio e della sua faticosa lotta per
affermarsi sopra popolazioni ostinatamente pagane".
(1)
A.C.Ambrosi, La leggenda di S.Viano in Garfagnana ed i santuari di
"abri" nella Liguria etnica del Levante. "Memorie dell'Acc. Lunig.
di Scienze - G.Cappellini", 32, 1961
La leggenda
"S.Viviano
si crede sia un Lombardo del Reggiano o del Modenese. Il quale con
la moglieavrebbe passato l'Appennino Tosco-Emiliano, per sottrarsi,
pare a una persecuzione, forse personale, contro di lui e la sua
famiglia.
Sulle Alpi di Castiglione si sarebbe incontrato con un altro asceta
notissimo nella regione, l'eremita S.Pellegrino, dal quale avrebbe
avuto cordiale ospitalità.
Proseguendo la peregrinazione lungo la cresta tortuosa
dell'Appennino, raggiunse le Alpi Apuane, ricche di marmo e, sempre
accompagnato dalla moglie, si fermò alle falde del M.Tambura, dove
trovò lavoro come garzone presso un colono di Castagnora, casale
sotto le cave dei "Prunelli".
Viviano era umilissimo; la natura gli era stata matrigna e le
deformazioni fisiche lo rendevano goffo e ridicolo, per cui la
moglie stessa lo avrebbe dileggiato e schernito. Ma egli era
pazioente e non si adirava mai. Talvolta i monelli lo schernivano,
gli davano la baia e gli gettavano sassi; Viviano li disarmava col
sorriso e con carezze amorevoli. Amava le bellezze della natura e
non si rammaricava che essa fosse stata avara con lui.
Attendeva
ai lavori agricoli con religiosità profonda; arando e ricoprendo i
semi gettati nel solco, toccava la terra come cosa sacra. Con
semplicità di fanciullo amava teneramente le piante e gli animali e
questi chiamava fratelli; gli uccelli ricambiavano il fratello-uomo
con gorgheggi canori, e sposavano confidenti, sulle sue spalle,
sull'aratro e sulle corna dei buoi aggiogati. Ai fratelli-uccelli
Vivíano offriva i chícchi di grano, che avrebbe dovuto gettare nel
solco del campo e li guardava con sublime dolcezza. La moglie gli
rimproverava lo sciupìo del seme, ma il Santo confondeva il suo
canto di gioia con i gorgheggi degli uccelli e poco si curava del
brontolio della sposa arcigna. Ma il tempo della raccolta preparava
e riservava meravigliose sorprese; la mano di Dio aveva benedetto le
fatiche e il lavoro del suo Servo, e la messe raccolta rendeva
centuplícato il grano che Viviano aveva donato agli uccelli.
Finalmente, reso dagli anni inabile al lavoro e desiderando la
solitudine per elevare più intensamente lo spirito a Dio, un bel
giorno disparve da Castagnora. Ascese le falde dirupate del Tambura
sovrastante e, in vicinanza di Campocatino, dove oggi sorgono gli
abituri dei pastori, si ritirò nella splelonca, che fu nei secoli
scorsi trasformata in chiesa. Il luogo, come adesso, era infecondo,
arido e brullo; Viviano non aveva cibo né acqua per ristorarsi.
Recitò con grande fede il «Pater Noster» e pregò di cuore. La terra
arida germogliò una sorta di cavoli selvatici, di sapore amaro, di
cui il Santo prese a cibarsi. Così la Provvidenza gli procurò il
nutrimento anche per l'inverno, quando le nevi e le valangbe gli
avrebbero impedito di uscire dalla spelonca. Nei mesi caldi d'estate
non c'era acqua, e Viviano operò un miracolo; vicino alla spelonca
v'è una grotta: il Santo, fatta preghiera, vi premette tre dita, il
pollice, l'indice e il medío; zampillarono e zampillano tre gettí
d'acqua. Un'altra grotta reca i segni della pietà e della penitenza
di Viviano: le impronte, come dissi, di un ginocchio e del dorso di
un piede sulla pietra, dove il santo passava lunghe ore in preghiera
e con lo spirito rapito in Dio. Qui Víviano visse i suoi tardi anni
in un'ascesi mirabíle; da qui l'anima candída prese il volo pel
regno della giustizia e dell'amore; il suo corpo fu sepolto e
ritrovato dopo molti anní; qui la pietà del popolo di Vagli Sopra
eresse la piccola casa di Dio a glorificazione dell'umile asceta"
(2).
(2) da
G.Moriconi, S.Viviano di Vagli Sopra in Garfagnana. Artigianelli,
Lucca 1941
"Su
Viviano esiste una confusa agiografia, perché non si sa bene il
tempo in cui è vissuto e quale fu la reale portata delle sue azioni.
La tradizione popolare vuole che il Santo conducesse vita da eremita
sulle aspre montagne della zona, proprio nei pressi della chiesetta
a lui dedicata, a cercare qui meditazione e penitenza. (...)
Il
racconto specifica che il Santo poteva campare in quei luoghi perché
"mangiava dei cavoli, che il signore gli aveva fatto nascere [...];
e beveva dell'acqua da tre buchi che aveva fatto con i diti" nella
roccia.(2)
La pianta indicata dal racconto è, senza dubbio, il cavolo comune
selvatico, cioè Brassica oleracea L. subsp. robertiana
(Gay) Rouy et Fouc. (= B. montana Pourret).
E’ noto pure che si tratta di entità a distribuzione
etrusco-ligure-provenzale, con areale frammentato di carattere
relittuale. Tra le poche ed isolate località del territorio
italiano, che sono testimoni di tale presenza fioristica, troviamo
diverse cime e rupi calcaree delle Alpi Apuane", tra cui le balze
orientali del monte Roccandagia, proprio intorno al santuario di San
Viano.
La singolare e spontanea presenza di una pianta di così notevole
valore alimentare, in un ambiente ostile e difficile da abitare come
il territorio di Vagli in Garfagnana, ha probabilmente suggerito il
racconto popolare prima detto. Il cavolo è stato reinterpretato come
un vero e proprio "dono del Signore" che - nato espressamente per
sfamare l'eremita Viano - ha lo stesso significato dell'elemento
simbolico "pane", gettato dal Santo ai giovani, nonostante la loro
ingratitudine. E' quindi un "dono" raro e prezioso, da usare con
parsimonia, così come l'acqua che con difficoltà si trova nei
medesimi terreni calcarei. "Tuttavia, la leggenda, sfrondata da
correzioni, adattamenti e prestiti della cristianità, rivela le sue
più arcaiche origini pagane, attingendo forse a quei cicli
leggendari primitivi in cui spesso le piante alimentari sono date
all'uomo dall'intervento divino. Nel nostro caso è la volta del
cavolo che, proprio nel mondo antico mediterraneo, veniva impiegato,
tra l'altro, come rimedio per ogni tipo di affezione. Molti autori -
da Dioscoride a Teofrasto, a Galeno - hanno ritenuto questa
crucifera una vera e propria panacea, sia per il valore nutritivo
che per le virtù terapeutiche messe in luce. Pure nella tradizione
popolare della regione apuana si trova chiara traccia di ciò, come è
possibile rilevare da alcuni diffusi racconti popolari: "Petuzzo, va
ne l'ortuzzo a ppiglià un cavoluzzo per tu pà cche ha male", così
infatti recita una conosciuta "fola" locale". In definitiva,
Brassica oleracea ha svolto, almeno in passato, un ruolo
significativo nella realtà etnobotanica non solo della regione presa
in considerazione, in quanto pianta non esclusivamente di valore
alimentare, ma pure terapeutico se non taumaturgico. Oggi a Vagli di
Sopra, più che l'uso alimentare e medicinale della subsp. robertiana
sopravvive soprattutto la consuetudine, fra il sacro ed il
superstizioso, di raccogliere i cavoli - "per benedizione" - presso
la chiesa-grotta di San Viano, nel giorno della festa del Santo, il
22 maggio.
E
così nel villaggio pastorale di Campocatino, prossimo al santuario,
si possono ancora osservare piante di cavolo selvatico che sono li
coltivate a ridosso dei "caselli" di quell'alpeggio, con l'unico
scopo di ottenere una protezione divina. Col tempo poi decaduta a
Vagli la pastorizia e sviluppata l'estrazione del marino - l'eremita
Viano è via via divenuto anche protettore dei cavatori, i quali sono
pure loro soliti coltivare i cavoli del Santo ai margini delle cave
"per benedizione".
(3) da
A.Bartelletti, M.Ansaldi, L'Orto Botanico "Pania di Corfino": uno
strumento per le indagini etnobotaniche in Garfagnana. in Atti del
Convegno "I Giardini dei Semplici e gli Orti Botanici della
Toscana".
Foto 1: il cavolo comune selvatico: Brassica oleracea L.
subsp. robertiana (Gay) Rouy et Fouc. (=B. montana
Pourret), pianta intera (alta circa 1 m), durante la fioritura in
maggio.
foto: A. Bartelletti
Foto 2: Brassica oleracea L. subsp. robertiana (Gay)
Rouy et Fouc., particolare dell'infiorescenza
foto: A. Bartelletti |
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